Di conseguenza se volete seguirmi nelle solite cose (ma un po’ più ordinate) potete scegliere tra:
e sul resto ci sto lavorando.
Ciao ciao.
Di conseguenza se volete seguirmi nelle solite cose (ma un po’ più ordinate) potete scegliere tra:
e sul resto ci sto lavorando.
Ciao ciao.
Tornerò eh.
Devo riordinare tutto.
Non so se a qualcuno sia mai capitato di scarabocchiare lettere dotate di occhi, occhiali, boccucce simpatiche e quant’altro.
Non è questo il caso.
Nelle illustrazioni che seguono troverete delle meravigliose ed articolate interpretazioni di quello che le lettere possono ispirare (edifici, macchinari, costruzioni): piccoli mondi architettonici illustrati.
I lavori son del londinese Jing Zhang.
“Inoltre, essendo l’attività progettistica il più delle volte un lavoro in team, il compromesso non avviene solo nella mente del singolo designer, ma deve essere il prodotto di un lavoro di gruppo coordinato. Un “buon design” è il risultato di un progetto in cui i citati vincoli interni e quelli esterni, tra i quali l’interazione con altri individui vengono armonizzati in modo soddisfacente. Ciò non significa che il designer debba mirare a un compromesso permanente tra tutti questi fattori, che comporterebbe soluzioni spesso mediocri e poco originali. Al contrario egli, di fronte a questa eventualità, deve essere consapevole di tale condizione e non lasciarsi sorprendere a prodotto finito degli effetti di una cattiva progettazione.”.
Tratto da “Gli oggetti nella mente. La mente negli oggetti.” di Davide Vannoni.
Il tutto per dire che non riesco a trovare un gruppo con cui lavorare all’università, e probabilmente non lo troverò perchè risulto una compagna poco affidabile e quindi son nella merda, ok?
Chiaro.
Sadface.
Ogni tanto, sicchè mi fermo a troppo pensare, inizio ad angosciarmi per ignoti motivi e a perdere motivazione.
Una delle poche cose che mi permette di riportare il mio umore a livelli accettabili è quella di mettermi ad ascoltare persone che parlino in modo convincente di qualcosa. Un ritmo sostenuto, piacevole, e ovviamente che dicano cose sensate.
Oggi, ad esempio, i tre video motivatori son stati i seguenti.
Lo so, apparentemente non c’è nulla di straordinario in tutto questo ma, almeno per me, funziona.
West Elm propone questa nuova (ma manco tanto, a dire il vero) tipologia di calendario da scrivania.
Cosa cambia rispetto alle vecchie proposte?
Sicuramente la qualità di realizzazione: l’oggetto è lineare e pulito, chiaro, immediato, quasi un giocattolo da ufficio.
Unica pecca: dove li mettiamo i due blocchetti inutilizzati dei mesi?
Nel caos di una scrivania andrebbero probabilmente persi.
Il costo è di circa 23 euro ed è acquistabile direttamente su sito di West Elm.
via (Design_Milk)
Riflettiamoci un attimo.
Vi immaginate gli scenari apocalittici che potrebbero presentarsi davanti ai nostri occhi in un futuro non molto lontano?
Nel leggere vari commenti su twitter e facebook e altrove emergono drammi incommensurabili! Ci troviamo all’interno della dystopian novel di Bradbury “Fahrenheit 451”?
Ci comportiamo come se ci avessero privato dell’educazione, di qualsiasi conoscenza possibile. O forse del comfort di non doverci ammazzare di lavoro per reperire informazioni, leggersi libri su libri per trovare dati e cose simili?
Personalmente Wikipedia mi è sempre piaciuta nella potenza e non nell’atto. Il creative commons, la possibilità di creare qualcosa tutti insieme, di collaborare per tramandare, costruire: tutto lodevole, ma poi?
Poi ci ritroviamo ad affidarci in tutto e per tutto a lei, per quei dieci minuti, per quelle dieci righe che dobbiamo scrivere su un argomento che non conosciamo e che invece, forse, dovremmo conoscere in modo meno superficiale. E’ come il fast food: ma non è cibo per il fisico quanto per il cibo della mente. Cibo rapido, che viene subito smaltito e non sazia del tutto. Ci affidiamo a Wikipedia come se fosse l’estensione obbligata del nostro sapere: non sai una cosa? Vai su Wikipedia. Devi imparare qualcosa? Vai su Wikipedia. Hai un dubbio su qualcosa? Vai su Wikipedia. Non vuoi fare la figura dell’ignorante davanti a questioni che tuttidovrebberosapere? Vai su Wikipedia. E altre centinaia di cose: basta che tu vada su Wikipedia. Perchè lei sa. TUTTO.
Detto così può sembrare che io schifi Wikipedia. Ma per carità: l’ho usata e spero di poterla ancora consultare.
Digressione personale: son due giorni che gli insegnanti ci ripetono “smettetela di comportarvi come liceali che hanno tutta la pappa pronta: dovete muovervi e crescere.”
E ovviamente hanno ragione.
Ma se trasferissimo questo concetto di autonomia e crescita personale anche alla questione di Wikipedia?
E se un giorno, Wikipedia venisse a mancare, cosa. cazzo. faremmo?
Restiamo liceali? E aspettiamo che qualcuno si muova per ripristinare tutto?
Visti i commenti di oggi, penso proprio che succederebbe questo: un marcire, in sostanza.
E no, non contiamo la smobilitazione sulle pagine di facebook, perchè mi è parsa un po’ sommaria e poco approfondita, nella maggior parte dei casi, purtroppo.
Ma è a quel punto che il bavaglio non mi va giù, non per una questione emersa dalle pagine di Wikipedia.
Perchè Wikipedia, in quanto enciclopedia dovrebbe riportare fatti, questioni, dati universalmente condivisibili e così è già, e di conseguenza non vedo cosa e soprattutto COME si possa ledere qualcuno sulle pagine di un’enciclopedia. Sicuramente esistono pagine non oggettive. Così come non lo sono i libri scolastici, di qualsiasi fazione siano. Non sono MAI oggettivi e completi. MAI, che dir si voglia, specialmente quando son carichi di storiografie di parte. Ma non è questo il posto e il momento adatto per discutere degli storiografi dei libri scolastici.
Il problema non sono sicuramente le pagine di matrice scientifica o artistico – culturale (a parte le inesattezze e incongruenze che possono riscontrarsi). Non sono quelle. E Wikipedia è composta al 70 % da quella tipologia di pagine, circa.
Il problema è altrove, ed è molto più grave secondo me.
Il problema risiede nell’oltre Wikipedia, nel voler approfondire, nel volersi informare per conoscere e crearsi un pensiero autonomo.
Risiede nei contesti (in particolare online) in cui si vuole voler mettere il silenziatore alle opinioni discordanti rispetto al pensiero di chi può importi, per questioni di potere, di tacere (opinioni che sempre son esistite e sempre esisteranno), finendo così nel far volare denunce da una parte all’altra e facendo chiudere praticamente tutto. E no, non mi riferisco unicamente a B. Un po’ tutti fanno così, da che mondo è mondo, in particolare in questo periodo. E non mi riferisco solo alla politica, ovviamente.
Perchè sappiamo come siam fatti: siam dei permalosi ed egocentrici e nell’80 % dei casi non siamo disposti a cambiare idea su alcune idee che ci siam fatti, magari leggendo solo un determinato tipo di stampa piuttosto che un altro, una tipologia di pubblicazione piuttosto che un’altra, e ad accettare le critiche e riflettere sull’eventuale errore.
Ciò che diciamo è giusto, sempre. Un po’ come le pagine di Wikipedia.
Il problema è mettere il silenziatore a tutto: al bianco e al nero, al destra e sinistra, all’alto e al basso, tutto contemporaneamente, privando la persona di poter esprimere la propria voce in capitolo e, ancor peggio, di privare le altre persone della possibilità di formare una propria idea, leggendo tali opinioni.
Per dirla in termini pragmatici: già siamo mediamente ignoranti, togliamo ancora la possibilità di poter apprendere, è la fine. E non ne gioverebbe nessuno. Perchè sì, ignorance is strength, ma non è che obbligatoriamente l’ignoranza giovi ad alcuni, ma potrebbe trasformarsi in qualcosa di veramente negativo, per gli stessi alcuni e per tanti altri.
E non cadiamo nelle solite banalità: “eh vogliono farci diventare ignoranti così ci posson manipolare metterci davanti ad una tv, farci divertire e non farci pensare alle cose serie mentre loro si mangiano i nostri soldio ci prendono in giro”. Beh sì, e allora?
Legge della conservazione del potere/posizione sociale/presigio, semplicemente.
Cioè convenite con me che sarebbe assurdo il contrario (seppur più corretto sotto l’aspetto etico), no?
Già solo il fatto di riuscire a pensare che vogliano manipolarti indica che ci siano capacità per accorgersene e reagire con forza (almeno) uguale e contraria.
Rettificare, direi.
Ma non vuol dire che si debba cancellare l’opinione del singolo per sostituirla con una rettifica personale, la si può accostare, la si deve accostare (senza usare i titoloni da prima pagina per l’attacco e le rettifiche a carattere 2 a pagina 987, giusto per esser chiari).
A parte insulti gratuiti e simili che generalmente non andrebbero utilizzati a priori, nessuno può togliere il diritto di critica. Perchè in principio la critica può apparire lesiva, ma se ci si impegna un po’, diventa costruttiva.
E se voglio dire che un qualcosa mi fa schifo e chi l’ha creato ha sbagliato, ho il diritto di poterlo dire, come gli altri devon avere il diritto di dirlo a me, poi ci penso io. Sono ancora in grado di rettificare personalmente senza sentirmi eccessivamente offesa -nel caso in cui io mi trovi dalla parte del torto, senza dover imporre all’altro di tacere. E forse dovremmo esserlo tutti, un po’ di più, oggi in particolare.
Stamattina, il professore di storia del design ci ha mostrato questo documentario: “Lambretta: l’altra faccia del miracolo italiano”, realizzato da Enrico Maria Settimi nel 2007. L’avevo già visto e non era finito bene. Nonostante sperassi in un finale diverso, anche questa volta è finita male, cazzarola.
Banalità a parte: ho notato che questo documentario ha un misero numero di visualizzazioni, benchè sia un bel lavoro.
Tuttavia, le caratteristiche più belle e – permettetemi- toccanti sono il cosa e il come: cosa si dice e cosa raccontano, ma soprattutto come, il modo in cui intervengono questi ex lavoratori (il tono di voce, l’intensità, il tremore che appena appena fanno emergere mentre si guarda al passato).
Evidentemente erano davvero bei tempi, mentre ora restano le strutture metalliche arrugginite.
Mi garba l’idea, anche se comunque non è nuova (e i precedenti si sprecano).
Non mi garbano molto gli ultimi secondi, che, secondo me, vanno un po’ a rovinare il lavoro creato, ma tant’è.
Ideato da MagillaGuerrilla e realizzato da Elefant Film.